Aldo Tortorella: un antifascista tradizionale

Nel classico Resistenza e storia d’Italia (1976), Guido Quazza divideva in tre grandi categorie l’eterogeneo fronte antifascista all’indomani della caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, e del successivo tornante dell’8 settembre: l’antifascismo tradizionale, quello dei partiti d’opposizione posti fuori legge all’inizio del ventennio; l’antifascismo spontaneo e “esistenziale”, quello di chi aderiva alla lotta di Liberazione dall’invasore nazista su impulso delle eccezionali circostanze storiche del momento e non sulla base di pregresse militanze politiche; l’antifascismo “opportunista” di quanti mutarono atteggiamento rispetto a un precedente sostegno al regime.

Insomma, la nota diversità di orientamento fra i partiti del CLN è solo un aspetto di una fase storica incredibilmente complessa, che pose larga parte della popolazione italiana di fronte alla necessità di una scelta, ma che limitò, d’altra parte, lo spettro d’azione delle varie forze politiche nazionali entro le dinamiche di un conflitto globale.

Il titolo Resistenze parallele fa anzitutto riferimento a questa complessità e pluralità di orientamenti: si pensi a formazioni partigiane minoritarie, come quelle d’ispirazione anarchica, infoltite da elementi spesso ascrivibili alla seconda delle categorie di Quezza e, d’altra parte, animate da aspettative rivoluzionarie in contrasto con la linea democratica abbracciata da Togliatti, in accordo con Mosca, con la svolta di Salerno del 1944.

Al centro del documentario ci sono però, soprattutto, le narrazioni della Resistenza articolatesi a conclusione della guerra di Liberazione e nel corso dei successivi settant’anni, spesso sulla base di precise contingenze storico-politiche.

Lo spirito unitario del governo Parri e la sintesi politica operata dalla Costituente cedono presto il passo alla contrapposizione frontale dell’infuocata campagna elettorale del 1948. Se l’accendersi della guerra fredda porta come conseguenza la demonizzazione delle forze delle sinistra e dei comunisti in particolare, il tentativo di svolta reazionaria intrapreso nel 1960 dal governo del democristiano Tambroni si infrange anzitutto sulla resistenza di una piazza ancora ben memore della lunga guerra di Liberazione contro il nazifascismo. È in questa fase che il mito della Resistenza come momento fondativo della legalità repubblicana si rilancia e si consolida, in concomitanza con l’approdo al primo centro-sinistra.

Alla lunga fase preparatoria di questa svolta, culminata nella contemporanea astensione di monarchici e socialisti a favore del terzo governo Fanfani, risale la celebre espressione attribuita ad Aldo Moro: “convergenze parallele”.

Ultimo presidente del Partito Comunista Italiano e deputato del PCI per sei legislature, direttore nazionale de L’Unità dal 1970 al 1975, Aldo Tortorella va certamente ascritto alla prima delle tre categorie individuate dal saggio di Quazza, quella dell’antifascismo partitico e, al suo interno, alla componente maggioritaria della Resistenza, il PCI appunto. Anzitutto per ragioni anagrafiche – all’epoca dei fatti aveva tra i diciassette e i diciotto anni – l’apporto di Tortorella al movimento della Resistenza non fu militare, ma squisitamente politico: iniziato alla dottrina marxista durante gli studi universitari, Tortorella partecipa alle attività di mobilitazione sindacale e politica nella caldissima città di Genova e inizia la sua attività di redattore per l’allora clandestina edizione genovese de L’Unità.

La sua testimonianza, lucida e appassionata, rilasciata nel febbraio scorso, mescola inscindibilmente il dato personale alla prospettiva politica, incentrata attorno al dogma togliattiano della “democrazia progressiva”.

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